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Gufi, Civette e la regola della goccia unica. (Parte Uno)

See on Scoop.itTHE ONE DROP RULE – LA REGOLA DELLA GOCCIA UNICA

Il gufo, spesso associato per similitudine alla civetta, è noto soprattutto per la sua simbologia infausta, che richiama l’oscurità, il malaugurio e la morte, benché nella storia esso talora sia caricato anche di una valenza positiva, ossia quale immagine della chiaroveggenza, associato a maghi e indovini, della comprensione, della luce dopo la risoluzione di un problema.

 

Una silloge di fiabe indiane datata circa III secolo d.C., il Pañcatantra, paragona il dio della morte, Yama, al gufo; nell’epica del Mahabharata il gufo, simbolo del buio e della notte, è antitetico all’avvoltoio, legato al sole e al giorno, in una disputa mitologia di cui si trovano tracce anche in altre civiltà.

Presso la cultura maya, il gufo cornuto è presente in alcuni codici legati alla fine dei tempi, mentre nello Yucatan il gufo comune era soprannominato “l’uccello del lamento” e associato alla morte.

Per la tradizione ebraica e biblica, esso è sostanzialmente un animale impuro, che rievoca l’abbandono e la desolazione; nel mondo greco, esso è sacro a una delle Parche, Atropo, colei che taglia il filo della vita degli uomini, e perciò è considerato segno di tristezza e dipartita.

I romani lo reputavano un uccello di cattivo auspicio, annunciatore di sventure e decessi; inoltre era associato ai maghi che praticavano la magia nera.

Da notare, inoltre, che il nome “strige” in greco significa “gufo”, con il quale allora veniva talvolta confuso; sembra, infatti, che proprio l’aspetto e il verso del gufo diedero lo spunto per l’invenzione della romana “strige bevitrice di sangue”.

La morte sia di Augusto che di Cesare, si tramanda, vennero preannunciate dal verso di un gufo, così come prima che l’imperatore Aurelio Commodo perisse, un gufo era entrato nella sua camera. Agrippa, dopo essere caduto in disgrazia presso Tiberio, venne arrestato a Capri mentre un gufo reale era posato sui rami dello stesso albero al quale egli era legato; un augure germanico lì presente, profetizzò che sarebbe stato rilasciato divenendo re dei Giudei, aggiungendo tuttavia che quando avesse visto nuovamente il medesimo gufo, la sua morte sarebbe stata vicina. In quel modo avvenne: mentre Agrippa sedeva sul trono di Cesarea, avvistò proprio tale uccello su una delle corde tese attraverso il teatro; non appena lo riconobbe, fu colpito da malattia e dopo cinque giorni morì.

Ovidio scrisse a proposito del gufo: “Evita lo sguardo degli uomini e la luce. Nasconde la sua vergogna nell’oscurità e da tutti gli altri uccelli è scacciato dal cielo”, ricordando, successivamente, che era invocato da Medea mentre preparava le sue pozioni magiche.
La strega di Orazio, Canidia, usava piume di gufo nei suoi incantesimi: “Et uncta turpis ova ranae sanguine, / Plumamque nocturnae striges”.

Nelle “Metamorfosi” di Apuleio la strega Pànfile, spalmatasi un unguento, si trasforma in gufo; nel decimo libro delle “Metamorfosi” di Ovidio viene di nuovo indicato quale nunzio di morte (“Per tre volte il piede, inciampando, l’ammonisce di ritrarsi, / per tre volte il funebre gufo l’avverte col suo verso di morte).

 

Nei geroglifici dell’antico Egitto vi è un glifo che simboleggia il gufo, quello equivalente alla lettera M, e rappresenta la morte, il freddo, il sole invisibile (ovvero il sole portato nell’aldilà). Di solito era accostato ad un segno a forma di nodo e ad un’aquila; il trisillabo, dal suono “sma”, era presente nei vocaboli che significavano “unito” e “andare insieme”. Si potrebbe desumere che in un simile contesto valeva quale la pace e complementarietà tra gli opposti, come ad esempio il giorno e la notte.

 

Nell’antica tradizione cinese il gufo era l’esatta contrapposizione negativa della fenice, ed era connotato da un forte simbolismo. Uccello feroce e nefasto, da una leggenda derivava la credenza che divorasse la madre appena nato, tanto che i bambini che nascevano nel giorno del gufo, cioè nel solstizio d’estate, erano considerati violenti e potenziali assassini.

Nel simbolismo celtico, questo animale fu poco considerato.

La dea celtica della natura Gyffes aveva forma di gufo; Blodeuwedd, moglie infedele di Llew, venne trasformata in gufo come punizione per il suo adulterio.
Alcune raffigurazioni di una dea-gufo nell’arte del periodo di La Tène sono state collegate ad un’antica dea celtica dai diversi nomi, tra i quali Bodach-oidche (fantasma della notte) o Cailleach-bhan (vecchia donna bianca). In tale contesto, il gufo connoterebbe il passaggio dalla vita alla morte, ovvero una guida per gli uomini nei periodi di cambiamento, e per questo venne soprannominato “Occhio della Dea”.

Nelle leggende nordiche codesti rapaci notturni non sono soltanto malevoli, ma anche vecchi assennati depositari di molta e antica saggezza.

 

Nel sud dell’Australia, miti aborigeni credevano che gli uomini fossero rappresentati da pipistrelli e le donne da gufi; pertanto tutti i gufi venivano efficacemente protetti quali custodi delle anime femminili.

Ai nostri giorni i Calmuchi hanno un idolo in forma di gufo a cui attaccano delle zampe vere.

Nella tradizione dei nativi americani, il gufo era uno degli animali totemici, di grande importanza e dalle doti sia negative che positive.

I guerrieri notturni dei Lakota erano detti “guerrieri dei gufi”, poiché si pitturavano cerchi neri attorno agli occhi per indicare la loro preferenza per i combattimenti notturni e per ottenere la vista acuta di questo uccello. Le tribù Navajo e Pueblo veneravano il gufo e lo temevano, tanto che non entravano in una casa in cui fosse custodita una parte di gufo, per una forma di rispetto. Ai bambini Dakota si insegnava a scappare immediatamente e nascondersi se udivano il verso di questo rapace, poiché veniva spesso impiegato come segnale prima di un attacco notturno. Presso molte tribù il gufo era chiamato “Aquila Notturna”, perché volava in silenzio ed era in grado di vedere ogni cosa, sia di giorno che di notte. Presso i Navajo, era simbolo della terra e del cielo; i Pawnee lo designavano “Re della Notte” e credevano che la sua presenza offrisse protezione agli esseri umani nell’oscurità. I Cherokee lo onoravano come un animale sacro, perché capace di donare il potere di vedere anche nelle tenebre; tra gli Omaha, esso è la guida degli uomini nella notte.

Incarnazione della ricerca spirituale, la sua associazione con il buio rispecchiava la meditazione sulla morte e il silenzio del mistero del mondo. Il totem del gufo rappresenta, sciamanicamente, la profondità della realtà psichica, la guida per ritrovare la luce della saggezza ed era impiegato anche nella ruota della medicina. La sua familiarità con le tenebre fa scaturire la capacità di vedere nel buio: da qui l’associazione del gufo con la saggezza e con la veggenza.
Secondo molte altre tribù ha l’incarico anche di proteggere gli uomini durante le cerimonie e di tenere lontane le entità malvagie. Inoltre, esso indica la via per il regno dei morti a coloro che hanno lasciato questo mondo. Per la sua ambiv
alenza simbolica, il gufo ha anche evocato l’emblema del traditore, che prepara nell’ombra i suoi oscuri progetti.

Questo rapace è richiamato anche in un mito della Creazione.

 

Nel Rinascimento il gufo ispirò l’emblema del Genio cattivo dei Gentili, cioè un uomo grande e tetro, dal viso terrificante, con in mano un gufo.
In araldica è figura della prudenza, della veglia e dell’attenzione.

Ogni capo dei Tartari aveva un gufo nero sullo stemma dorato, in quanto il primo imperatore dei Tartari, Gengis Khan stesso, si salvò grazie a questo uccello. Accadde, infatti, che Gengis Khan venisse sorpreso dai nemici con la sua modesta armata, messo in fuga e costretto a nascondersi in un boschetto. Qui, un gufo si appoggiò sull’arbusto sotto il quale egli era celato, cosa che spinse gli inseguitori a non cercarlo in quel punto, poiché essi ritennero impensabile avvicinarsi ad un simile e funereo uccello. Da allora i Tartari considerarono sacro il gufo e chiunque ne portasse in capo ciuffi di penne.

 

Il cristianesimo ha perseverato nell’associazione tra il gufo e gli spiriti malvagi, fino a ridurlo uno dei simboli di Satana. Su una vetrata della cattedrale di Saint-Etienne, a Bourges, il demonio si palesa ad Adamo ed Eva sotto le spoglie di un gufo dalla testa umana, appollaiato sull’Albero della conoscenza.

 

Parecchie leggende popolari fiorirono in Gran Bretagna: in Inghilterra si credeva che chiunque osservasse nel nido di un gufo sarebbe stato infelice per sempre, oppure che un gufo appollaiato su una finestra avvertisse che uno degli inquilini sarebbe perito entro la notte; nel Galles il suo verso annuncerebbe che una donna ha appena perso la verginità e, durante la sua gestazione, lo stesso suono predirebbe la nascita di una bambina (similmente nel sud della Francia la nascita di una bambina si diceva preannunciata dallo stridìo di un barbagianni appollaiato sul camino). Nello Shetland si reputava che se una mucca veniva spaventata da un gufo, avrebbe dato latte misto a sangue e, se toccata da questo rapace, si sarebbe ammalata mortalmente.

In Sicilia si trovano ancora simili superstizioni: un gufo che canta presso la casa di un malato significa che costui morirà entro tre giorni e, se non ci sono infermi nella casa, annuncia che quanto prima uno dei suoi abitanti sarà colpito da tonsillite.

Comunemente, nella tradizione letteraria, il gufo è ritratto come una creatura lugubre e stregonesca.

“Uccelli di malaugurio, neri e immondi, cornacchie della notte, corvo, pipistrello e gufo” scrisse Scott, emblematicamente. Shakespeare richiama nell’Amleto uno dei più noti racconti popolari inglesi sui gufi, la storia della figlia del panettiere. Questa leggenda narra che la figlia del panettiere fu trasformata in gufo dopo aver mangiato il pane che sua madre aveva cotto per Gesù; quando egli entrò in una panetteria per mangiare qualcosa, difatti, la padrona mise una forma di pane nel forno, ma sua figlia mentì asserendo che era troppo grande e la divise a metà, tenendo per sé l’altra parte. La pasta, tuttavia, si gonfiò in maniera spropositata e la fanciulla, mentre esclamava spaventata “uh, uh, uh!”, fu trasformata in gufo.
Nel Macbeth, il poeta inglese descrive le streghe che con cura introducevano un’ala di giovane gufo nel loro calderone ribollente, poiché nessun filtro di strega poteva essere veramente efficace senza questo ingrediente.

 

Nella tradizione magica, infine, gli vengono attribuiti diversi poteri: la visione notturna, la furtività, la magia, la saggezza (in particolare di vedere la verità dietro la bugia), la telepatia (è in grado di sentire le parole non dette), nonché – per la sua vista notturna – la chiaroveggenza e la proiezione astrale. La sua duplice natura fa intendere il suo potere come facilmente corruttibile, ovvero utilizzabile tanto per scopi positivi che infausti.

Esso viene invocato per scrutare il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, per la vista a distanza o per rintracciare gli oggetti perduti, per agire guidati dalla visione interiore, nonché ci si può a lui rivolgere nel momento del bisogno, per discernere con maggiore chiarezza nei momenti cupi e di difficoltà.

 

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Fonte: web

 

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