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"Pensa ai bambini del Biafra che non hanno nulla da mangiare", ovvero “Il mondo taceva mentre noi morivamo“

See on Scoop.itTHE ONE DROP RULE – LA REGOLA DELLA GOCCIA UNICA

Luisa Casagrande‘s insight:

"Pensa ai bambini del Biafra che non hanno nulla da mangiare"

 

E’ davvero incredibile come oggi riecheggi ancora questa frase. La guerra del Biafra è stata una tragedia di proporzioni enormi  che ha “prodotto” quasi 3 milioni di morti, di cui due terzi – in gran parte bambini – dovuti alla fame. Le immagini dei bambini gravemente malnutriti  hanno girato il mondo. Ma la cosa che tremendamente mi pare offensivo oltre ogni limite è uso dei neologismo "bambini del Biafra" nel linguaggio comune da parte delle mamme per convincere i propri figli (spesso grassottelli) a non buttare il cibo ("pensa ai bambini del Biafra che non hanno nulla da mangiare") o  per indicare genericamente una magrezza esagerata ("sembri un bambino del Biafra").Per farla breve la parola Biafra è diventata una specie di sinonimo di povertà infinita. Oggi il mio pensiero si rivolge a tutte quelle persone che ancora non hanno imparato qual è la differenza tra l’essere un “essere umano” (perdonatemi l’iterazione!) e un pappagallo (con tutto il rispetto per questa bellissima specie). Colgo l’occasione per consigliarvi un bellissimo libro ambientato in Biafra, a cui farà seguito tra pochissimo il film: Metà di un sole giallo (scritto nel 2006, edito in Italia da Einaudi nel 2008) dalla nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie.

 

 

©Luisa Casagrande

 

Il titolo, è quella che compare sulla bandiera del Biafra, ricca regione meridionale della Nigeria che a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta scatenò e perse una guerra di secessione. L’idea era quella di un sole nascente. Metà di un sole giallo è il simbolo di quel Biafra esistito per tre anni: il sole nascente era sulla bandiera di un paese destinato  a non sorgere.: eppure, a leggere queste pagine, non si può non cogliere l’ironia di un sole che è, appunto, solo metà, come perennemente destinato a essere monco, diviso, messo da parte, come il destino dell’etnia Igbo, minoranza sconfitta e punita dalla maggioranza nigeriana.

 

Nelle intenzioni della sua autrice, questo è un libro essenzialmente per ricordare, oltre che per raccontare una storia. Così come dentro Metà di un sole giallo c’è un altro libro, quello progettato e sempre procrastinato dallo scrittore Richard, l’unico bianco tra i personaggi, allo stesso modo la storia del Biafra si mescola a quella più personale dei personaggi. Noi morivamo mentre il mondo taceva: questo il titolo accusatorio del libro-nel-libro sempre in divenire.

 

E in effetti c’è da dire che la guerra del Biafra fu la prima vera grande guerra del mondo post-coloniale, un conflitto che portò alla nascita di Medici senza frontiere (ma solo a guerra finita). In quegli anni il Biafra divenne oggetto di documentario, materia di politica estera, argomento preferito di genitori per invogliare i figli a finire il pasto; ma il mondo, appunto, è rimasto a guardare, permettendosi una riflessione solo a conflitto esaurito.

 

In un’intervista  Chimamanda ha dichiarato che per lei il Biafra è sempre stata un’ossessione e  di aver sentito la necessità di scrivere questo romanzo da quando aveva 15 anni, per dare un senso alla  storia personale di lei che , nata nel 1977 in  Biafra , ha perso i nonni in questa guerra: “Non avrei mai potuto scrivere il romanzo senza i miei genitori, che hanno perso parenti, amici e tutti i loro beni.  A loro sono riconoscente per i racconti che mi hanno regalato”:  i ricordi di chi è sopravvissuto insieme ad una seria documentazione sono il tessuto su cui  sono costruite le storie di  tanti  personaggi  per lo più inventati con i loro  amori, tradimenti, rancori e riappacificazioni .

Nella prima parte del romanzo si fa fatica a sentirsi in Africa, perché non è la solita Africa delle carestie, della fame, delle malattie, ma è soprattutto l’Africa di salotti borghesi, di ambienti universitari, del circolo  colto del professor Odenigbo idealista rivoluzionario, in cui si parla di poesia, di filosofia e di politica. Personaggio importante, legato alla bellissima, ricca  e sensuale Olanna,” la bruna sirena”,  sorella gemella di Kainene, che è invece  poco attraente, beffarda,  legata  ad un bianco, al biondo  inglese  Richard, aspirante scrittore e amante dell’arte igbo.

Igbo e Yoruba sono le etnie del sud, per lo più convertite al cristianesimo: i principali personaggi sono igbo come la stessa Chimamanda: il suo nome così difficile è un nome igbo e vuol dire che “Dio non fallirà” con la diffusione del cristianesimo. Ogni nome per noi così strano ha un preciso significato: Olanna: oro divino, Kainene “vediamo che altro ci riserva Dio” e così via.   Al nord invece prevale l’etnia degli Hausa, per lo più islamici.  E dopo il colpo di stato del 1966 si intensificano i contrasti tra gli Hausa al governo e gli igbo, che proclamano la repubblica del Biafra ed ha così inizio il genocidio con milioni di morti. Non contano più  la ricchezza, la cultura quanto essere Hausa o Igbo.

Anche nella prima parte c’è un’Africa tribale,quella dei villaggi , dell’animismo, in cui regna la superstizione, in cui conta molto ancora la magia. Un romanzo, come è naturale, con tante Afriche

Credo in Dio, credo nel Bene- ha dichiarato Chimamanda cattolica in un’intervista a Livia Manera  sul Corriere della Sera – ma non credo nella religione come valore positivo. E considero alla stregua di fede religiosa anche la superstizione, che ha una parte molto importante nel mio libro. Per quanto mi riguarda, credere nel potere di uno stregone o in quello di un dio cattolico, non fa una grande differenza.

Un personaggio importante che ci accompagna lungo tutto il romanzo è Ugwu, il ragazzo dalla carnagione molto scura che, quando entra al servizio del professore Odenigbo, non ha mai visto un lavandino. “l’acqua dove vive lui scorre solo alla fontana pubblica… il cibo si prepara in cucine fumose e affollate e non si conserva in grosse scatole fredde dai ripiani colmi…le notizie passano di bocca in bocca anziché uscire da quel coso che Padrone chiama radiogrammofono”.

E’ il mite ragazzo, fedele  illetterato che guarda per la sua crescita intellettuale con interesse al professore,  poi si scontra  con la durezza della guerra e nell’ultimo periodo, con la coscrizione obbligatoria tra mercenari e ragazzini drogati violenta con i suoi commilitoni una  donna.  &nbs
p; Il romanzo è dedicato a Mellitus, un ragazzino che lavorava a casa dei genitori di Chimamanda ed è a lui che non ha conosciuto che la scrittrice  si è ispirata per il personaggio di Ugwu .

Il romanzo è narrato in terza persona con una pluralità di punti di vista, perché nei diversi capitoli si alternano le voci ora di Olanna, ora di Richard, ora di Ugwu, che è la voce più autorevole.

La guerra è nella seconda parte in  primo piano con  tutta la sua insensatezza e  terribilità disumanizzante: i bombardamenti, la fame,le atrocità, la paura, la fuga.  L’assurdità e tragicità di questa guerra si sintetizza in immagini terribili come la donna che culla la testa mozzata della  sua bambina o l’uomo il  cui corpo continua a correre senza testa prima di stramazzare come un pollo.

Richard, l’inglese che sceglie il Biafra come sua patria, scrive, lui bianco,  l’atto di accusa contro i bianchi: “Il mondo taceva mentre noi morivamo“: con questa frase si chiudono diversi capitoli ed è come un mantra, che accompagna il romanzo e mette sotto accusa l’ipocrisia di un occidente indifferente, mentre si consuma una tragedia in una Nigeria, pedina nelle mani di burattinai internazionali, e soprattutto in  un Biafra che possiede i maggiori giacimenti di petrolio, argomento trascurato da Adichie.

Le parole di Claudio Magris che definisce “possente” questo romanzo:

La scrittrice, proprio perché è una vera scrittrice, non muove da motivazioni morali, ancorché nobili. Non vuole lamentare, denunciare, rivendicare, protestare, manifestare. Vuole raccontare, ossia comprendere e far comprendere la vita e alcuni suoi volti, e lo fa con maestria, con una forte partecipazione che non infirma minimamente la forza oggettiva, epica del suo narrare. Metà di un sole giallo assolve superbamente il compito del vero e grande romanzo, quello di calare, di incarnare una grande realtà storica in irripetibili vicende individuali.

Recensioni da:

http://gruppodilettura.wordpress.com

http://www.lastambergadeilettori.com

 

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