Crédits by Métissage Sangue Misto

Sapete chi è un consulente sull’equità razziale? Vi spiego (tecnicamente) chi è, e come assumerne uno.

Métissage Sangue Misto offre consulenze per Aziende, Organizzazioni, Istituzioni e individui, preparandoli al rapido cambiamento demografico ed a una comunicazione culturalmente sana.

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A qualcuno davvero non va giù che, nel 2021, si discuta ancora di razza, equità razziale, classificazione razziale ….. e, a dirla tutta,  non ha tutti i torti, salvo il fatto che le nostre società devono ancora trovare la propria strada per quella maturazione sufficiente a far cadere tutti gli strutturalismi e le categorizzazioni.  Discutendo (molto animatamente) con una simil collega Coach (Mentor e Coach non sono la stessa cosa!!!), si meravigliò del fatto che io dessi così tanta rilevanza alle differenze razziali, quando, secondo lei, siamo giunti in un era in cui dovremo parlare solo ed esclusivamente di diversità culturale.

 

Ed ecco che questo maledetto atteggiamento di colorblindness razziale continua a perseguitare me ed il mio minuzioso lavoro cross culturale. E’ davvero assurdo come non ci si voglia rendere conto che il gap tra utopia e realtà è ben oltre qualsiasi capacità di comprensione, in chi non vuol capire né vedere. E, comunque, ci si arroga il diritto, dalla propria posizione di privilegio, a sindacare o giudicare quale sia la vera realtà che la maggior parte delle persone di colore, diverso dal bianco, vive e sperimenta.

 

Ma provo  spiegarvi meglio il concetto, prima di addentrarmi sul vero mio obiettivo di oggi.

 

Ci tengo, moltissimo a precisare, anche in un modo che ad alcuni parrà spiccio, che la razza si riferisce al colore della pelle, mentre l’etnia è più allineata alla cultura. Esiste una tendenza a fondere razza ed etnia. Quindi, quando parliamo di razzismo ci riferiamo all’emarginazione e all’oppressione di vari gruppi di persone sulla base del colore della pelle.

 

Il colorblindness razziale (in italiano possiamo tradurlo come daltonismo razziale, ma non rende sufficientemente l’idea!) è un’ideologia razziale che postula che il modo migliore per porre fine alla discriminazione, sia trattare gli individui nel modo più equo possibile, senza dare importanza alla razza, alla cultura o all’etnia. L’applicazione di questa ideologia non è rara: gli argomenti che coinvolgono la razza sono spesso difficili da confutare.

 

 

E’ fuori discussione come  questa convinzione sembri non solo equivalere a un rifiuto delle esperienze vissute delle persone di colore, diverso dal bianco, ma suggerisce anche che il razzismo non esiste, finché lo si ignora. Nel contesto del razzismo strutturale e sistematico, il colorblindness  razziale funge da dispositivo per svincolarsi completamente dalle conversazioni sulla razza e sul razzismo.

 

Perché il colorblindness agisce in modo da perpetuare il razzismo?

 

La parola “cieco” (blind) significa non essere in grado di vedere. Con ciò si intende che, in termini di daltonismo razziale, una persona sceglie di NON vedere, oltre alla razza o al colore della pelle, anche le disparità razziali, le disuguaglianze, la storia della violenza e il trauma attuale perpetuato all’interno di una società razzista. Le persone di colore, diverse dal bianco, continuano a spiegare questa cosa e, cioè,  che la razza ed etnia sono concetti  importanti, poiché, ancora oggi, influenzano opportunità, percezioni, reddito e molto altro ancora. La razza, come il colore della pelle e l’identità razziale, non sono elementi che la persona di colore può rimuovere, con uno schiocco di dita. È qualcosa con cui convive  ogni santo giorno.

 

Quando sorgono problemi legati alla razza, il daltonismo tende a individuare conflitti e carenze, piuttosto che esaminare il quadro più ampio con differenze culturali, stereotipi e valori inseriti nel contesto. Un approccio daltonico permette di negare scomode differenze culturali. In una società daltonica, i bianchi, che difficilmente subiranno discriminazioni a causa della razza, possono ignorare efficacemente il razzismo nella vita collettiva, giustificare l’attuale ordine sociale e sentirsi più a proprio agio con la loro posizione, relativamente privilegiata, nella società.

 

Tra le righe di alcuni discorsi sulla razza sembra si possa scorgere un riferimento preciso e diretto verso individui che nutrono sentimenti negativi  su di essa.  Coloro che insistono sul daltonismo razziale evitano, quindi, queste conversazioni, pensando: “Perché dovrei partecipare a questo tipo di discorso? Non sono razzista“. Il daltonismo razziale veste gli abiti del “non vedo il colore, vedo solo persone“, “siamo tutti solo persone“, “non mi importa se sei nero, bianco, verde o viola a pois!” o, l’ultimo tra gli ultimi, ” #AllLivesMatter“.

 

Il daltonismo razziale incoraggia le persone a guardare oltre la razza e incoraggia a evitare di riconoscere la razza nelle interazioni e nelle discussioni, eppure, queste conversazioni sono necessarie per tutti. Molte persone di colore diverso dal bianco, tuttavia, che sono regolarmente ostacolate dalla razza, sperimentano le ideologie daltoniche in modo molto diverso. Il daltonismo costruisce una società che nega le esperienze razziali negative, rifiuta il loro retaggio culturale, mina il patrimonio culturale e invalida le caratteristiche uniche di ciascuna persona. Pensare di condurre una vita completamente daltonica, non è plausibile. La consapevolezza della razza è intessuta nella storia e quindi le sue implicazioni non possono essere completamente cancellate. Non possiamo semplicemente smettere di parlare di razza, perché il colore della pelle influenza, innegabilmente, il modo in cui le persone vivono il mondo. Dobbiamo tutti impegnarci attivamente nelle discussioni sulla razza.

 

 

Quest’ideologia  presenta una domanda molto interessante: se tu fossi veramente incapace di vedere il colore della pelle delle persone, potresti esser, comunque,  razzista?

 

Il razzismo, sia quello personale che quello sistemico, non è necessariamente innescato dal segnale visivo del colore della pelle di un’altra persona. Il razzismo riguarda il valore sociale che assegniamo alle persone e alle loro azioni in base ai loro attributi fisici, e né i ciechi né i daltonici evitano quell’acculturazione solo perché mancano dei segnali visivi. Il non vedere colore ha contribuito a trasformare la razza in un argomento tabù di cui le persone non possono discutere apertamente. E se non puoi parlarne, non puoi capirlo, tanto meno puoi risolvere i problemi razziali che affliggono la nostra società.

 

 

 

E nella realtà professionale, cosa succede?

 

Molti bianchi negano l’esistenza del razzismo verso le persone di colore, perché presumono che il razzismo sia definito da azioni deliberate motivate da malizia e odio. Tuttavia, il razzismo può verificarsi senza consapevolezza o intenzione cosciente. Se definito semplicemente come valutazione differenziale, o trattamento basato esclusivamente sulla razza, indipendentemente dall’intento, il razzismo si verifica molto più frequentemente di quanto la maggior parte dei bianchi sospetti. Nel tentativo di prevenire discriminazioni e pregiudizi, molte aziende adottano una strategia di daltonismo, cercando, attivamente, di ignorare le differenze razziali, quando promulgano politiche e prendono decisioni organizzative. La logica è semplice: se non ci accorgiamo nemmeno della razza, allora non possiamo agire in modo razzista.

 

Il problema è che la maggior parte di noi nota naturalmente le differenze razziali reciproche, indipendentemente dalla politica del nostro datore di lavoro.

 

E’ così allettante pensare che il modo migliore per avvicinarsi al concetto di  razza sia fingere che non esista, ma le innumerevoli ricerche, mostrano che, semplicemente, non funziona. Notiamo la razza e non c’è modo di aggirare questo fatto, anzi, serve solo a perpetuare i pregiudizi. Nel tentativo di essere politicamente corretti, le persone spesso evitano di menzionare la razza quando descrivono una persona, anche se la razza di quella persona è la caratteristica più ovvio. Fare dei passi all’indietro per ignorare la razza, può esacerbare, piuttosto che risolvere i problemi relativi sul posto di lavoro.

 

 

Per quanto intrattabile possa sembrare, il razzismo sul posto di lavoro può essere affrontato efficacemente, con le giuste informazioni, incentivi e investimenti. I leader aziendali potrebbero non essere in grado di cambiare il mondo, ma possono certamente cambiare il loro mondo, e, poiché le organizzazioni sono entità piccole e autonome che offrono ai leader un alto livello di controllo su norme e politiche, sono luoghi ideali per sviluppare politiche e pratiche che promuovono l’equità razziale.

 

 

Il multiculturalismo è meglio del daltonismo razziale

 

La ricerca ha dimostrato che i discorsi in chiave colorblindness producono esiti negativi tra i bianchi, come maggiori pregiudizi razziali e atteggiamenti negativi; allo stesso modo causano stress nelle minoranze etniche, con conseguente riduzione delle prestazioni cognitive. Dato quanto è in gioco, non possiamo più permetterci di essere ciechi, né daltonici. È tempo di cambiamento e di crescita. È tempo di vedere.

 

L’alternativa al daltonismo è il multiculturalismo, un’ideologia che riconosce, evidenzia e celebra le differenze etno-razziali. Riconosce che ogni tradizione ha qualcosa di prezioso da offrire. Non ha paura di vedere come gli altri hanno sofferto a causa di conflitti o differenze razziali.

 

Passare dal daltonismo al multiculturalismo è un processo di cambiamento, e il cambiamento non è mai facile, ma non possiamo permetterci di rimanere gli stessi, con le stesse convinzioni e con gli stessi meccanismi nel approcciare il tema.

 

Le organizzazioni potrebbero alleviare le tensioni razziali tra una forza lavoro diversificata sottolineando il multiculturalismo rispetto al daltonismo razziale. Chiudere gli occhi sulle complessità della razza non le fa scomparire, ma rende più difficile vedere che il daltonismo spesso crea più problemi di quanti ne risolva.

 

Molte aziende ospitano “giornate della diversità“, ma queste celebrazioni spesso si concentrano esclusivamente sulle culture dei dipendenti delle minoranze etniche. Escludere i dipendenti bianchi dal celebrare le loro culture può generare risentimento, mentre un approccio all-inclusive potrebbe funzionare meglio. Creare un clima dove non solo i neri parlano di essere neri di qualche origine, ma anche i bianchi possano parlare delle loro origini, in modo che, evidenziando le differenze di tutti, sia possibile creare una sorta di comunanza: siamo tutti diversi e la mia differenza non è più o meno apprezzata della tua. Eppure la maggior parte delle organizzazioni non gestisce la diversità in questo modo.

 

Per le organizzazioni, sostenere il multiculturalismo non significa solo onorare, a parole, le differenze culturali, ma, sempre di più, anche formare un team più forte e migliorare le prestazioni; significa riformulare l’idea generale del motivo per cui lo sviluppo di strategie efficaci per la gestione della diversità è fondamentale per i manager. Il multiculturalismo non riguarda solo i sentimenti di benessere. Si tratta dell’efficacia organizzativa.

 

 

Allora, come si diventa multiculturali? I seguenti suggerimenti costituirebbero un buon inizio:

 

  • Riconoscere e valorizzare le differenze
  • Insegnare e conoscere le differenze
  • Favorire amicizie personali e alleanze organizzative

 

Illustration by Curt Merlo.

 

Che cos’è l’Equità razziale?

 

L’equità razziale riguarda l’applicazione dell’imparzialità, del senso di giustizia e un po’ di buon senso, a un sistema che è squilibrato di suo. Quando un sistema è sbilanciato, le persone di colore, diverso dal bianco,  ne risentono in modo più acuto, ma, per essere chiari, un sistema squilibrato fa pagare a tutti le sue conseguenze, anche a coloro che se ne tirano fuori.

 

In Métissage Sangue Misto ci occupiamo anche di Equità razziale nelle Aziende e nelle strutture professionali, e la consideriamo, sia come risultato che come processo. Come risultato, raggiungiamo l’equità razziale quando il concetto di  razza non determina i risultati socioeconomici, all’interno dell’organizzazione. Come processo, applichiamo l’equità razziale quando coloro che sono maggiormente colpiti dall’ineguaglianza razziale strutturale, sono significativamente coinvolti nella creazione e nell’attuazione delle politiche e delle pratiche istituzionali che hanno un impatto sulle loro vite.

 

L’equità razziale si raggiunge quando le persone, comprese le persone di colore, sono padroni, pianificatori e decisori nei sistemi che governano le loro vite e quando riconosciamo e diamo conto delle disuguaglianze passate e attuali, fornendo a tutte le persone, in particolare a quelle più colpite dalle disparità razziali, le infrastrutture necessarie per prosperare. L’equità razziale si raggiunge quando tutti beneficiano di un sistema più giusto ed equo.

 

Le discussioni sul razzismo, nei luoghi di lavoro,  sono spesso scoraggiate,  in quanto considerate divisive e improduttive. In breve, il nostro posto di lavoro non è stato in grado di riconoscere le vite delle persone che ne fanno parte e apprezzarle per quello che sono.

 

La storia del razzismo è complessa, brutalmente orrenda, profondamente personale e ancora da non sottovalutare, specialmente sul posto di lavoro. Non vi è dubbio che gli effetti delle leggi razziali, in Italia, e della segregazione razziale legale, in altri paesi, abbiano prodotto effetti dannosi che  continuano ad esistere nelle nostre istituzioni e in ognuno di noi. E’ inoltre chiaro che la metodologia e gli strumenti usati per lavorare sulla diversità e l’inclusione, sono grossolanamente insufficienti per il lavoro sull’equità razziale. Invece di guidare ed insistere sui cambiamenti fondamentali nelle organizzazioni, la maggior parte dei facilitatori si è concentrata, in gran parte, sulla superficialità e sui programmi di nuove linee guida, da applicare SOPRA strutture e culture pre-esistenti, nel tentativo di aiutare i dipendenti di colore ad “adattarsi” meglio e ad avere successo.

 

 

Gli sforzi odierni di equità razziale e inclusione dovrebbero capovolgere questa premessa. Invece di cercare di cambiare le persone per adattarle all’organizzazione, dobbiamo concentrarci sulla trasformazione delle nostre organizzazioni per adattarle a TUTTE le persone. Il vero problema risiede nelle cultura aziendale, e DEVE essere cambiata. Per muoversi verso l’equità razziale, la cultura organizzativa deve dare la priorità al senso di umanità. Le persone hanno bisogno di lavorare con la dignità di vedere riconosciuta la propria storia e valorizzata la propria esperienza di vita. Solo allora le aziende saranno in grado di reclutare e trattenere la fiorente e diversificata forza lavoro che leader e clienti desiderano, e di cui hanno bisogno, nel prossimo decennio e oltre. Costruire e mantenere questa cultura dell’equità razziale è una pratica quotidiana, ed è molto difficile, perché richiede la disponibilità ad abbandonare molti comportamenti tradizionalmente in uso e profondamente interiorizzate sulla leadership organizzativa.

 

 

Perché necessitate di un consulente sull’equità razziale nelle vostre attività?

 

Ad un certo punto ti trovi  a mettere l’attività della tua azienda in posizione per ottenere il massimo dei profitti, rispettando le capacità e le diversità dei tuoi collaboratori. Per fare questo hai bisogno di costruire strategie inclusive, catene di approvvigionamento, prodotti e canali di distribuzione che promuovono l’equità razziale e gli obiettivi aziendali. Ti rendi conto che l’equità sostenibile richiede la costruzione della capacità interna di un’organizzazione, prima di sviluppare un piano d’azione per creare equità con i clienti e la comunità. La creazione di capacità implica una formazione diffusa, lo sviluppo di leader e la creazione di un’infrastruttura di supporto e per fare tutto questo è necessario creare un mondo in cui ogni essere umano sia visto e valutato per quello che è.

 

In Italia, nello specifico, la propensione sociale all’inclusione delle persone di altre nazionalità, soprattutto se hanno un colore della pelle diverso, spesso definiti i diversamente visibili, è decisamente peggiorata negli anni. Nelle Aziende troviamo situazioni che viaggiano, inizialmente, da un atteggiamento di tolleranza, seguito poi da una fase di interesse attivo, fino ad arrivare a un‘atteggiamento costruttivo. E’anche vero che in questo campo non vi sono progetti di interesse rilevante e l’argomento viene  spesso trattato in modo superficiale, con modelli interpretativi molto teorici e con poche possibilità di applicazioni concrete. Questo succede, il più delle volte, perché il tema stesso è di una difficoltà oggettiva, date le varie modalità con cui si estrinsecano nel contesto lavorativo e richiedono competenze diverse di adattamento e di inclusione.

 

 

Nelle realtà aziendali succede spesso che si creino, con molta fatica, occasioni di conoscenza, di incontro e di comprensione. La diffidenza è una delle caratteristiche che innescano situazioni di squilibrio ed essa nasce, a sua volta, dall’assenza di dialogo e dall’incapacità di ascolto.

 

 

La figura del consulente sull’ equità razziale diventa necessaria perché costituisce un ottimo osservatorio cross-culturale, che permette di adottare una precisa metodologia per definire gli obiettivi, al di là di una generica consapevolezza. Lavorare sulle diversità, partendo dal concreto, per verificare quali siano le situazioni di incomprensione e potenziale conflitto; è possibile narrare le proprie storie, mettere in luce le radici delle differenze e trovare, in modo propositivo, dei punti di incontro.

 

Il consulente sull’equità razziale offre momenti di  Mentoring, strategie e consulenza nelle aziende, per trasformare credenze, presupposti, comportamenti, e fornire percorsi  in cui la cultura interna possa influire sulle relazioni esterne. Conoscere non vuol dire accettare integralmente i valori dell’altro, ma è solo attraverso la conoscenza che si può aprire una discussione costruttiva che costruisca ponti, e non muri. Supporta gli individui, le comunità e le organizzazioni nella costruzione della loro capacità di sfidare i sistemi di oppressione, al fine di creare un cambiamento trasformativo, sistemico e sostenibile. Generalmente si concentra su modelli di equità, piuttosto che approcci alla diversità, avendo ben chiaro che potere e privilegio rispecchiano le dinamiche intrecciate di razzismo e oppressione. E’ in grado di progettare programmi di studio, formazione, facilitazione delle conversazioni, sviluppo di leader di equità razziale e guida delle organizzazioni verso un diventare razzialmente giusti. Nel suo quadro operativo rientra un lavoro di anti-oppressione vitale per sviluppare un’analisi approfondita di come il razzismo, il sessismo, e la xenofobia si siano istituzionalizzati e radicati nella cultura dominante. Questo quadro aiuta a evidenziare i privilegi istituzionali e le disuguaglianze sistemiche insite nelle attuali condizioni socio-politiche che influenzano le nostre istituzioni. Attraverso la sua  lente interrazziale, affronta, intenzionalmente e strategicamente, il potere interiorizzato e istituzionalizzato sui temi della razza e del razzismo.

 

Il consulente sull’equità razziale comprende e insegna che, mentre non siamo responsabili delle attuali disuguaglianze che le persone di colore, diverse dal bianco, devono affrontare, siamo responsabili del cambiamento degli esiti sociali e istituzionali sproporzionati del mondo in cui viviamo. Se interroghiamo e trasformiamo le politiche e le pratiche istituzionali che continuano a escludere e avere un impatto sulle persone di colore, disfando e smantellando, con attenzione, il sistema del razzismo, creeremo una cultura istituzionale in cui ogni membro della comunità prospera.

 

Il management del futuro sarà sicuramente centralizzato sul tema delle culture, ma non può certo evitare di analizzare, elaborare ed accettare il fatto che razza e razzismo hanno ancora una larga fetta di presenza nelle nostre realtà.

 

 

 

 

Per farvi capire tangibilmente in che cosa consiste questa figura, voglio portarvi l’esempio di una delle strategie da me adottate durante le sessioni di consulenza e che chiamo affiliazione razziale .

 

 

L’affiliazione razziale è una strategia da me adottata per affrontare gli effetti dell’oppressione razziale interiorizzata e della superiorità razziale interiorizzata nelle organizzazioni. I membri lavorano separatamente nei rispettivi gruppi di identità, come le persone di colore diverse dal bianco o persone bianche. Nell’affiliazione razziale, i POC (People of Color) e i bianchi imparano a lavorare per smantellare il razzismo dalle loro rispettive posizioni. Quando tornano insieme, dopo un profondo confronto e discussione attiva, entrambi i gruppi avranno la capacità e gli strumenti per andare avanti insieme per nominare, affrontare e smantellare il razzismo istituzionale.

 

 

Questo lavoro è imperativo, se si vuole avere un clima equo e armonioso,  e con esso possiamo capire che:

 

  • Il costrutto del razzismo è creato e sostenuto dall’accettazione di una comprensione normativa socializzata della razza.

 

  • Il razzismo continua a manifestarsi nelle nostre istituzioni quando i bianchi evitano di affrontare la superiorità razziale interiorizzata e le persone di colore, diverso dal bianco, vengono messe a tacere dall’oppressione razziale interiorizzata.

 

  • Il razzismo è un processo di socializzazione complesso e multi-generazionale in cui le persone di colore accettano, credono e vivono definizioni sociali negative e in cui le persone bianche accettano, credono e vivono definizioni sociali superiori di sé per adattarsi e vivere superiori ruoli sociali.

 

Prima, però, di assumere un Consulente sull’equità razziale, devi avere uno scopo, una visione e una ragione, ma soprattutto, avere chiaro alcuni punti fondamentali:

 

 

  1. Sii chiaro su cosa vuoi fare con un lavoro di “equità” e sii onesto riguardo al tuo punto di partenza. Prima ancora di pensare di chiamare un consulente, dedica un po’ di tempo alla ricerca interiore del motivo per cui la tua organizzazione vuole intraprendere un lavoro sull’equità razziale. Quest’obiettivo e questa visione sono importanti per capire con chi vuoi lavorare e perché. La risposta non può essere un semplice: “perché lo fanno tutti gli altri“. Questa può essere una risposta onesta verso te stesso, ma se è la ragione per cui vuoi coinvolgere un consulente, risparmia tempo alla tua organizzazione e inizia a fare un po’ di auto-istruzione. Leggi libri sul tema, frequenta conferenze pubbliche, esercitati ad ascoltare……. Questo ti aiuterà a capire perché vuoi intraprendere un lavoro sull’equità razziale. Il ruolo di consulente è quello di aiutare, con un processo di apprendimento e scoperta, ma, prima o poi se ne andrà e la tua Azienda deve avere, al suo interno, figure in grado continuare il lavoro. Ecco perché è necessario avere uno scopo e una visione per questo viaggio. Articolare la visione e lo scopo aiuterà sia te, come azienda, sia  il consulente ad avere una comprensione più chiara e ad impostare l’organizzazione per il successo a lungo termine.

 

  1. Comprendi come funziona il potere e usalo per il cambiamento. Per costruire una nuova cultura più inclusiva, devi prima essere in grado di vedere come  i valori e le pratiche nelle istituzioni avvantaggiano i bianchi e i modi di lavorare, con l’esclusione e l’oppressione di tutti gli altri. E’ necessario dedicare del tempo e delle risorse alla conoscenza individuale dei membri dello staff. Comprendere la loro storia, interrogarli sui pregiudizi personali subiti, costruire empatia e rispetto per gli altri, prendere confidenza con la loro vulnerabilità: queste abilità richiedono formazione e pratica continua. Questo è un lavoro preciso e individuale che deve essere modellato con competenza e conoscenza ed essere in grado di costruire un vocabolario condiviso, definizioni e analisi per radicare le conversazioni di gruppo.

 

  1. Il conflitto deve essere compreso e accettato come parte del processo. Il conflitto non è solo accidentale, ma è necessario affinché la trasformazione avvenga e sia sostenuta. Sfortunatamente, la maggior parte dei luoghi di lavoro, oggi, fa di tutto per evitare conflitti di qualsiasi tipo. Questo deve cambiare. Le culture che cerchiamo di creare non possono superare o ignorare i conflitti, o peggio, indirizzare la colpa o la rabbia verso coloro che stanno spingendo per la necessaria trasformazione. Il conflitto è anche una parte intrinseca dell’interruzione dei modelli che mantengono svantaggi strutturali attorno a questioni come l’assunzione, l’equità retributiva e l’avanzamento. E’ rischioso e scomodo sottolineare le dinamiche razziste quando si manifestano nelle interazioni quotidiane, come il trattamento delle persone di colore durante le riunioni, o gli incarichi di lavoro o di squadra. Nel corso degli anni, è stata la leadership del personale a tutti i livelli all’interno dell’organizzazione, in particolare le donne nere, come spesso accade, a correre grandi rischi. Compito di ogni leader aziendale è quello di modellare, continuamente, una cultura che supporti quel conflitto, mettendo intenzionalmente da parte la difesa a favore di manifestazioni pubbliche di vulnerabilità, quando vengono sollevate disparità e preoccupazioni. Per aiutare il personale e la leadership a sentirsi più a proprio agio con i conflitti, suggerisco spesso di utilizzare una struttura che aiuti a valutare il proprio stato d’animo e le reazioni fisiologiche di fronte a momenti difficili. Le interazioni che ci fanno desiderare di dare un taglio al conflitto, sono momenti in cui veniamo semplicemente sfidati a pensare in modo diverso. Troppo spesso confondiamo questa sana zona di allungamento con la nostra zona di panico, dove siamo paralizzati dalla paura, incapaci di imparare. Di conseguenza, chiudiamo. Discernere i nostri confini e impegnarci a rimanere coinvolti durante tutto il periodo è necessario per spingere al cambiamento.

 

 

  1. L’ Impegno richiesto nell’apprendimento continuo e nella trasformazione a lungo termine. Gestire organizzazioni diverse, ma non inclusive, e parlare in modi neutrali di razza e delle sfide che la nostra nazione deve affrontare, porta, inevitabilmente alla poca comprensione individuale o all’esperienza nella creazione di una cultura razziale inclusiva. L’idea di affrontare, intenzionalmente, problemi di razza e razzismo, nell’organizzazione, manda parecchi leader in paranoia, ma capire che questo è un viaggio di apprendimento che richiede uno sforzo impegnativo, permette  di concentrarsi sull’apprendimento di cosa sia il tema della razza e del razzismo, sulle competenze necessarie per distinguere i vari processi di reazione e  sulla gestione del disagio stesso.

 

 

Il lavoro di costruzione e mantenimento di una cultura inclusiva ed equa, dal punto di vista razziale, non viene mai eseguito fino in fondo. Le organizzazioni devono impegnarsi per dimostrare che stanno facendo un investimento multiforme e a lungo termine nella cultura, se non altro per onorare la vulnerabilità che i membri del personale sperimentano durante il processo. Questo lavoro è duro e richiede un tributo profondamente personale. Il processo è valido solo quanto l’impegno, la fiducia e la buona volontà del personale che vi si impegna, che si tratti di affrontare la propria fragilità bianca o di condividere i danni che si sono sperimentati nel posto di lavoro come persona di colore nel corso degli anni. C’è poi un alto ed enorme pegno, in termini di costi, per le persone di colore, in particolare i neri, nel processo di costruzione di una nuova cultura. Perpetuiamo una sorta di  disumanità, sul posto di lavoro, quando ci affidiamo esplicitamente, o implicitamente alle persone di colore, in particolare ai neri, per portare il fardello di educare gli altri o combattere il razzismo al posto nostro. Dover sempre essere un sostenitore dell’equità, condividere storie personali e sperimentare in prima persona la rabbia, la paura e il senso di colpa dei loro colleghi, mentre costruiscono le loro competenze, è come squarciare una vecchia ferita. Come leader, specialmente come bianchi, l’incapacità di mantenere la rotta e di usare il nostro potere per sostenere, in modo sproporzionato, l’onere per combattere il razzismo sul lavoro, è una violazione della fiducia che hanno riposto in noi e in questo processo.

 

 

Per farlo in modo efficace, come per tutti gli elementi di gestione, si misurano, per esempio,  i progressi e si tiene traccia, formalmente, del coinvolgimento, della soddisfazione e della permanenza del personale, disaggregati per razza, ruolo e livello, in modo da poter identificare dove ci sono disparità. Oppure, bisogna essere in grado di tenere un sondaggio annuale sulle competenze per valutare la comprensione collettiva dell’impatto che la razza ha sul lavoro, ponendo domande come: quanto è ben attrezzato il personale per identificare e affrontare il razzismo interpersonale, istituzionale e strutturale sul posto di lavoro? Con quale frequenza il personale si assume dei rischi e mette da parte il disagio per impegnarsi in conversazioni critiche? In che misura la leadership organizzativa partecipa e sostiene le conversazioni sull’equità razziale internamente?

 

La vera equità razziale e il lavoro di inclusione sul posto di lavoro devono essere diversi da qualsiasi cosa abbiamo fatto nei decenni passati, perché abbiamo costantemente fallito nell’affrontare l’iniquità razziale alle sue radici più profonde. Ma possiamo iniziare oggi, portando il nostro io più completo negli uffici e nelle scrivanie dove trascorriamo la maggior parte della nostra vita da svegli e autorizzandoci a vicenda a fare lo stesso.

 

 

La tua organizzazione è pronta?

 

1) Alcuni mesi fa, ho avuto una conversazione con un’organizzazione con cui stavo per fare un corso di formazione sul coinvolgimento della famiglia. Nella nostra conversazione di preparazione ho chiesto quanto il loro staff ne capisse sull’argomento razza. L’organizzazione mi rispose che il loro staff comprendeva il  tema, perché, tra loro, vi erano molte persone di colore, diverse dal bianco. Durante la presentazione mi resi conto che lo staff, non capiva le semplici  basi dell’equità razziale, costringendomi a fare un un rapido riassunto, in modo, poi, da poter andare avanti insieme. Essere persone di colore, diverse dal bianco, non significa capire l’argomento razza e l’equità razziale.

 

2) Tieni presente che in molte realtà aziendali, i formatori di equità razziale possono incontrare un’aperta ostilità nei loro confronti. A volte vengono apertamente sfidati durante i corsi di formazione, sia dalle persone di colore, (che vogliono testare il consulente e ostentare il loro essere persone di colore), sia dai bianchi. Se il personale della tua organizzazione non è pienamente coinvolto, devi essere onesto con il consulente.

 

3) Se il tuo personale è apertamente ostile sul tema, devi fare un po’ di pulizia prima di portare un consulente. Portare un consulente sull’equità razziale per “risolvere” i problemi del personale riguardo alla razza non è la risposta. I consulenti sull’equità razziale non vogliono avere a che fare con i dipendenti problematici o essere trattati in modo scortese, molestati o maltrattati dal personale. Se assisti a scene in cui il tuo personale molesta o intimorisce un consulente, in particolare i consulenti di colore, è tuo compito intervenire e raddrizzare i termini di comportamento. Non pensare che il consulente debba mettersi alla prova o passare il tempo a trattare con il tuo personale problematico; quello non è il suo lavoro come consulente.

 

 

4) I consulenti di equità razziale, prima o poi,  se ne andranno. Non sono tuoi collaboratori né parte dello staff. Sono lì per aiutarti a guidarti fino al momento di separarti. Riorganizzare il personale, lavorare con il consiglio di amministrazione, apportare modifiche ai programmi, è un compito tuo.

 

 

5) Sii realistico su ciò che puoi realizzare, determina un budget e la tempistica. Spesso, quando le organizzazioni cercano il supporto di un consulente per questo tipo di  lavoro, l’ambito non è realisticamente allineato al budget o al calendario. Il lavoro costa quasi sempre di più e richiede più tempo di quanto le organizzazioni si aspettano o sperano. C’è un senso di urgenza nel raggiungere “risultati” misurabili, che richiedono anni nel lavoro sull’equità razziale, e questa caratteristica è una componente fondamentale di come la cultura della supremazia bianca si manifesta nelle organizzazioni. Il desiderio di urgenza (e la sua origine) dovrebbe essere esplicitamente considerato come parte di un processo che ha il suo tempo, così come il senso di disagio che inevitabilmente può verificarsi. Abituarsi a sentirsi a disagio, individualmente, all’interno dei team e in tutta l’organizzazione, è uno stimolo per un’autoriflessione e un analisi profonda, oltre che una componente fondamentale del lavoro e una ragione chiave per cui le organizzazioni hanno bisogno del supporto di un consulente esterno per facilitare un processo di equità razziale e i dialoghi progressivi che esso comporta.

 

6) Quando scegli il tuo consulente, verifica sempre le loro referenze e assicurati che abbiano una comprovata esperienza di incarichi importanti del tipo, dell’ambito e della durata di cui hai bisogno. Assicurati di avere una chiara comprensione dell’esperienza vissuta che porta il consulente a questo lavoro e dei valori che li fondano in esso. Sii consapevole di come questi valori si allineano con quelli della tua organizzazione. Come parte del dialogo per comprendere i valori di un consulente, chiarire le definizioni e l’approccio alla diversità, all’inclusione e all’equità. Spesso si presentano come Diversity & Inclusive Managers, ma ricordati che diversità, inclusione ed equità sono concetti distinti che coinvolgono diversi insiemi di comportamenti/convinzioni personali e politiche/processi organizzativi per guidare risultati diversi. Le distinzioni tra gli approcci alla diversità, all’equità razziale e alla giustizia razziale sono profondamente connesse ai valori e indicano se un consulente adotterà un approccio transazionale o trasformativo per spostare lo status quo di un’organizzazione dominante bianca.

 

7) Comprendi che non esiste un consulente che sia la soluzione “perfetta” per la tua organizzazione.

 

La perfezione è un obiettivo irrealistico, ma la cultura organizzativa (costruita su standard dominanti bianchi) ne dà la priorità. Le organizzazioni spesso rimangono intrappolate in un ciclo di ricerca del consulente “giusto” e non riesce a trovarlo, il che lascia il lavoro a un punto morto. Vale la pena considerare di coinvolgere un’azienda, un team di consulenti indipendenti o un singolo consulente che raccolga colleghi con competenze ed esperienze specifiche per la collaborazione nei punti chiave. Ogni consulente porterà al lavoro una serie di identità di razza, genere, orientamento sessuale e classe (tra le altre), che moderano il modo in cui danno feedback e facilitano le discussioni con individui e gruppi durante un impegno. Ad esempio, i membri del team bianco sono spesso in grado di “ascoltare” meglio il feedback diretto su come le microaggressioni e la fragilità bianca si manifestano nelle loro interazioni con i colleghi da un consulente che si identifica anche come bianco. Allo stesso modo, le persone di colore sono spesso più a loro agio nell’esprimere (e nell’elaborare pubblicamente) esperienze di traumi razziali all’interno e all’esterno dell’organizzazione quando il dialogo è facilitato da un consulente esterno che è anche di colore. Inoltre, molte organizzazioni assumono un consulente per guidare le loro iniziative di equità razziale e assumono allenatori per aiutare manager e dirigenti senior a elaborare le sue implicazioni personali, interpersonali e istituzionali per il loro lavoro quotidiano. Consideralo un campanello d’allarme se un candidato non è in grado di articolare come le identità multiple che ha nel suo lavoro di consulente/facilitatore, o se dice che, come individuo, ha “tutto ciò di cui hai bisogno” per realizzare con successo il lavoro impegnativo e sfumato sull’equità razziale prima della tua organizzazione.

 

 

8) Presta attenzione alla cultura e ai privilegi dei bianchi e a come si manifestano sia internamente che esternamente durante un processo di equità razziale.

 

Assumi un consulente che possa richiamare e mitigare esplicitamente queste dinamiche, che spesso comprendono un anello mancante nel processo. Oltre a stabilire norme di gruppo intenzionali che promuovono una riflessione esplicita sulla cultura e sui privilegi bianchi e su come si manifestano all’interno e all’esterno delle organizzazioni, un consulente esperto utilizzerà, come primo strumento,  una riunione specifica, incentrata sull’identità razziale, per far emergere le dinamiche implicite intorno alla cultura bianca, al privilegio e alla bianchezza. La riunione può essere una strategia efficace per far emergere problemi di cultura e privilegio bianco (oltre a razzismo interiorizzato e interpersonale) tra i bianchi e le persone di colore,perché usa domande specifiche di riflessione per guidare i membri del team bianco nella discussione, su come possono distruggere la cultura dominante bianca, smantellare forme di discriminazione e costruire una cultura e una pratica organizzativa che promuovano l’equità razziale.

 

 

Ecco, quindi, cosa può fare un consulente sull’equità razziale ( Métissage Sangue Misto) per la tua Azienda.

 

 

Costruire una cultura sull’equità razziale è un processo lungo anni di lavoro intenzionale e mirato ed è profondamente stimolante e particolarmente pieno di sfumature per le organizzazioni, sia nella teoria (“agire”) che nell’esecuzione (il “come” agire). Le aziende devono mantenere una particolare attenzione alla strategia e alla missione stessa, mentre il supporto di facilitatori e consulenti esperti, è un elemento fondamentale per svolgere il lavoro in modo da produrre un cambiamento di trasformazione significativo, misurabile e sostenibile.

 

Per affrontare efficacemente il razzismo nella tua organizzazione, è importante prima creare consenso sull’esistenza di un problema (molto probabilmente c’è) e, in tal caso, su cos’è e da dove proviene. Se molti dei tuoi dipendenti non credono che il razzismo verso le persone di colore esiste, all’interno dell’organizzazione, o se ritengono che le vere vittime della discriminazione sono loro, come bianchi, , allora le iniziative sulla diversità saranno percepite come il problema , non la soluzione. Questo è uno dei motivi per cui tali iniziative sono spesso accolte con risentimento e resistenza, spesso da parte di manager di medio livello. Le credenze, non la realtà, sono ciò che determina il modo in cui i dipendenti rispondono agli sforzi compiuti per aumentare l’equità. Quindi, il primo passo è portare tutti sullo stesso livello, su quale sia la realtà e perché sia un problema per l’organizzazione.

 

Non basta la  semplice sensibilizzazione. Interventi efficaci coinvolgono molte fasi, che ho incorporato in un modello che chiamo CAESS, (Consapevolezza del problema, Analisi della causa principale, Empatia, o livello di preoccupazione per il problema e le persone che affligge, Strategie per affrontare il problema e Sacrificio o volontà di investire il tempo, l’energia e le risorse necessarie per l’attuazione della strategia), in cui le organizzazioni passano dalla comprensione della condizione presente, allo sviluppo di una preoccupazione genuina, al concentrarsi sulla correzione.

 

 

Queste fasi, che le organizzazioni devono attraversare in sequenza, sono:

 

 

(1) Consapevolezza del problema. A molte persone bianche può sembrare ovvio che il razzismo continui a opprimere le persone di colore; anzi, tantissimi di loro sono convinti che si siano invertiti i ruoli e che vi sia più razzismo verso i bianchi che verso i neri. Ancora, una larga percentuale di bianchi considera la discriminazione contro i bianchi un problema tanto grande quanto la discriminazione contro i neri e le altre persone di colore. Queste convinzioni sono importanti da tenere in considerazione, perché possono minare gli sforzi di un’organizzazione per affrontare il razzismo, indebolendo il sostegno alle politiche sulla diversità. Anche i manager che generalmente riconoscono il razzismo nella società, spesso, non riescono a vederlo nelle proprie organizzazioni, ignorando che posizioni neutrali sulle questioni razziali possono consentire la discriminazione. Oppure, ritenendo siano sufficienti una superficiale attenzione su temi delle diversità e dell’inclusione, non accorgendosi di come, cullando un’organizzazione nell’autocompiacimento, si possa effettivamente peggiorare le cose, rendendo, con più probabilità,  i neri e le minoranze, di essere ignorati o trattati duramente quando sollevano valide preoccupazioni sul razzismo.

 

 

 

(2) Analisi della causa principale. Comprendere le radici di un disturbo è fondamentale per scegliere il miglior rimedio. Il razzismo può avere molte fonti psicologiche: bias cognitivi, caratteristiche della personalità, visioni ideologiche del mondo, insicurezza psicologica, minaccia percepita o bisogno di potere e potenziamento dell’ego. Ma la maggior parte del razzismo è il risultato di fattori strutturali: leggi stabilite, pratiche istituzionali e norme culturali. Molte di queste cause non comportano intenti dannosi. Tuttavia, i manager spesso attribuiscono erroneamente la discriminazione sul posto di lavoro al carattere dei singoli attori, le cosiddette mele marce, piuttosto che a fattori strutturali più ampi. Di conseguenza, organizzano corsi di formazione per “aggiustare” i dipendenti, dedicando relativamente poca attenzione a quella che potrebbe essere una cultura organizzativa tossica, ad esempio. È molto più facile individuare e incolpare le persone quando sorgono problemi. Quando, per esempio, alcune aziende affrontano crisi legate al razzismo, la risposta istintiva è licenziare gli attori coinvolti o sostituirli, piuttosto che esaminare come la cultura autorizza, o addirittura incoraggia, comportamenti discriminatori.

 

Per aiutare manager e dipendenti a capire come essere integrati in un sistema distorto possa influenzare inconsapevolmente risultati e comportamenti, mi piace chiedere loro di immaginare di essere pesci in un ruscello. In quel ruscello, una corrente esercita una forza su tutto ciò che è nell’acqua, spostandolo a valle. Quella corrente è analoga al razzismo sistemico. Se non fai nulla, semplicemente galleggi, la corrente ti porterà con sé, che tu ne sia consapevole o meno. Se discrimini attivamente nuotando con la corrente, sarai spinto più velocemente. In entrambi i casi, la corrente ti porta nella stessa direzione. Da questa prospettiva, il razzismo ha meno a che fare con ciò che hai nel cuore o nella mente e più a che fare con il modo in cui le tue azioni o inazioni amplificano o abilitano le dinamiche sistemiche già in atto.

 

La discriminazione sul posto di lavoro spesso proviene da persone ben istruite, ben acculturate, di mentalità (apparentemente) aperta e di buon cuore che stanno semplicemente fluttuando, sottovalutando gravemente la direzione della corrente prevalente sulle loro azioni, posizioni e risultati. L’antirazzismo richiede di nuotare contro quella corrente, come un salmone che risale la corrente. Richiede molto più sforzo, coraggio e determinazione rispetto al semplice seguire il flusso.

 

In breve, le organizzazioni devono essere consapevoli della “corrente” o delle dinamiche strutturali che permeano il sistema, non solo del “pesce” o dei singoli attori che operano al suo interno. La vera sfida per le organizzazioni non è capire “Cosa possiamo fare?” ma piuttosto “Siamo disposti a farlo?”

 

 

(3) Empatia, o livello di preoccupazione per il problema e le persone che affligge.

 

Una volta che le persone sono consapevoli del problema e delle sue cause sottostanti, la domanda successiva è se si preoccupano abbastanza per fare qualcosa al riguardo. C’è una differenza tra simpatia ed empatia. Molte persone bianche provano simpatia, o pietà, quando assistono a forme di razzismo. Ma ciò che è più probabile che porti all’azione nell’affrontare il problema è l’empatia: provare lo stesso dolore e la stessa rabbia che provano le persone di colore. Le persone di colore vogliono solidarietà e giustizia sociale, non compassione, che semplicemente calma i sintomi mentre perpetua la malattia.

 

Se i tuoi dipendenti non credono che il razzismo esista in azienda, le iniziative sulla diversità saranno percepite come il problema, non la soluzione. Un modo per aumentare l’empatia è attraverso l’esposizione e l’educazione. I manager possono aumentare la consapevolezza  ed empatia attraverso sessioni di ascolto – per i dipendenti che vogliono condividere le proprie esperienze, senza sentirsi obbligati a farlo – integrate da formazione ed esperienze che forniscono prove storiche e scientifiche della persistenza del razzismo. L’empatia è fondamentale per fare progressi verso l’equità razziale perché influenza le azioni intraprese e, quale tipo di azione intraprendere. Ci sono almeno quattro modi per rispondere al razzismo: parteciparvi, aumentando il danno, ignorarlo,  provare compassione per la vittima o provare indignazione empatica e adottare misure per promuovere l’uguaglianza. I valori personali dei singoli dipendenti e i valori fondamentali dell’organizzazione sono due fattori che influenzano le azioni intraprese.

 

 

(4) Strategie per affrontarlo il problema.

 

 

Dopo che le basi sono state gettate, è finalmente giunto il momento della fase “cosa facciamo al riguardo”. La maggior parte delle strategie attuabili per il cambiamento si rivolge a tre categorie distinte ma interconnesse: atteggiamenti personali, norme culturali informali e politiche istituzionali formali.

 

Per combattere in modo più efficace la discriminazione sul posto di lavoro, i leader dovrebbero considerare come eseguire interventi su tutti e tre questi fronti contemporaneamente. Concentrarsi solo su uno è probabilmente inefficace e potrebbe persino ritorcersi contro. Ad esempio, è probabile che l’attuazione di politiche sulla diversità istituzionale senza alcun tentativo di creare consenso da parte dei dipendenti produca un contraccolpo. Allo stesso modo, concentrarsi solo sul cambiamento di atteggiamento senza stabilire anche politiche istituzionali che ritengano le persone responsabili delle proprie decisioni e azioni può generare pochi cambiamenti comportamentali tra coloro che non sono d’accordo con le politiche. Stabilire una cultura organizzativa antirazzista, legata ai valori fondamentali e modellata dal comportamento dell’amministratore delegato e di altri alti dirigenti dell’azienda, può influenzare sia gli atteggiamenti individuali che le politiche istituzionali.

 

Esistono molte strategie per ridurre i pregiudizi razziali a livello individuale, culturale e istituzionale. La parte difficile è convincere le persone ad adottarli davvero. Anche le migliori strategie sono inutili senza implementazione. L’equità richiede di trattare le persone in modo equo, il che può comportare il trattamento delle persone in modo diverso, ma in un modo che abbia senso.

 

 

(5) Sacrificio, o volontà di investire il tempo, l’energia e le risorse necessarie per l’attuazione della strategia.

 

Molte organizzazioni che desiderano maggiore diversità, equità e inclusione potrebbero non essere disposte a investire il tempo, l’energia, le risorse e l’impegno necessari per realizzarlo. Le azioni sono spesso inibite dal presupposto che il raggiungimento di un obiettivo desiderato richieda il sacrificio di un altro obiettivo desiderato. Ma non è sempre così. Sebbene nulla che valga la pena avere è completamente gratuito, l’equità razziale spesso costa meno di quanto si possa pensare. Obiettivi apparentemente contrastanti o impegni in competizione sono spesso relativamente facili da conciliare, una volta identificati i presupposti sottostanti.

 

I presupposti del sacrificio hanno enormi implicazioni per l’assunzione e la promozione di talenti diversi, per almeno due ragioni. In primo luogo, le persone spesso presumono che aumentare la diversità significhi sacrificare i principi di equità e merito, perché richiede di dare favori “speciali” alle persone di colore piuttosto che trattare tutti allo stesso modo. Ma dai un’occhiata alla scena qui sotto. Quale dei due scenari appare più “giusto”, quello di sinistra o quello di destra?

 

 

Le persone spesso presumono che equità significhi trattare tutti allo stesso modo, o esattamente allo stesso modo, in questo caso, dare a ogni persona una cassa della stessa dimensione. In realtà, l’equità richiede di trattare le persone in modo equo, il che può comportare un trattamento diverso delle persone, ma in un modo sensato. Se scegli lo scenario a destra, sottoscrivi l’idea che l’equità può richiedere di trattare le persone in modo diverso in modo ragionevole.

 

Naturalmente, ciò che è “sensibile” dipende dal contesto e da chi percepisce. Ha senso per una persona con disabilità fisica avere un parcheggio più vicino a un edificio? È giusto che i nuovi genitori abbiano sei settimane di congedo retribuito per potersi occupare del loro bambino? È giusto consentire al personale militare in servizio attivo di salire a bordo di un aereo in anticipo per esprimere gratitudine per il servizio prestato? La mia risposta è sì a tutte e tre le domande, ma non tutti saranno d’accordo. Per questo motivo, l’equità rappresenta una sfida maggiore per ottenere consenso rispetto all’uguaglianza. Nel primo pannello dello scenario recinzione, tutti ricevono lo stesso numero di casse. Questa è una soluzione semplice. Ma è giusto?

 

Nel pensare all’equità nel contesto della società, i leader devono considerare le disparità di condizioni e le altre barriere che esistono, a condizione che siano consapevoli del razzismo sistemico. Devono anche avere il coraggio di prendere decisioni difficili o controverse. Ad esempio, potrebbe avere senso avere un ufficio  risorse per i dipendenti neri ma non per i dipendenti bianchi. Risultati equi possono richiedere un processo per trattare le persone in modo diverso. Per essere chiari, un trattamento “diverso” non equivale a un trattamento “speciale”: quest’ultimo è legato al favoritismo, non all’equità.

 

Non esiste un test o un colloquio che possa invariabilmente identificare il “miglior candidato”. I manager dovrebbero abbandonare l’idea che si debba trovare un “miglior candidato”. Questo tipo di ricerca equivale a inseguire gli unicorni. Invece, dovrebbero concentrarsi sull’assunzione di persone ben qualificate, che mostrino buone promesse e, quindi , dovrebbero investire tempo, sforzi e risorse per aiutarli a raggiungere il loro potenziale.

 

 

Cosa facciamo in Métissage Sangue Misto

 

 

 

 

Luisa Wizzy Casagrande, Biracial, Bicultural, Mixed & Matched with a Italian and Nigerian Heritage.

 

Sono un’imprenditrice multidimensionale, poliedrica, multipotenziale, con molti interessi e innumerevoli passioni. Appartengo alla tribù delle “donne rinascimentali” , dinamiche e vibranti e non vorrei che fosse diversamente. Non sono programmata per fare solo una cosa nella vita.

Ho una formazione di Antropologia Biologica, Co-Fondatrice e CVO di DOLOMITES AGGREGATES LINK NIG. LTD, ricercatrice e freelance di studi africani, cultura, tradizione e patrimonio, e fondatrice di Métissage Sangue Misto, un utile WebMag, una comunità riservata, basata sui principi dell’intelligenza emotiva, del mentoring e dell’auto-potenziamento dell’identità delle persone Mixed e multiculturali. Métissage Sangue Misto è stato fondato in Italia, per celebrare e aiutare le persone miste e multiculturali a trovare ispirazione e scopo nella vita di tutti i giorni. IG MBA Métissage Boss Academy , MBA Metissage & Métissage Sangue Misto. , Telegram Channel, e ClubHouse come  @wizzylu), sono spazi sicuri che ho creato, dove navigare in una profonda ricerca di sé stessi attraverso piccole grandi scoperte, condividendo l’esperienza del “vivere misto” ed agendo come un ponte tra due (o più) culture.

 

 

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