ig0Wt7Vvhat422KhyGeVYTl72eJkfbmt4t8yenImKBXEejxNn4ZJNZ2ss5Ku7Cxt.jpg

"Come si fa a spiegare a una bambina che è nata per soffrire?"

See on Scoop.itTHE ONE DROP RULE – LA REGOLA DELLA GOCCIA UNICA

Luisa Casagrande‘s insight:

 

Lo specchio della vita – Imitation of Life
(L’amore è il miglior mezzo di repressione sociale)

 

Nel 1934, John M. Stahl riadattò per il grande schermo un libro di Fannie Hurst intitolato "Imitation of life".

Il risultato fu "Lo specchio della vita", un film che riscosse un buon successo di pubblico.

La pellicola cadde nel dimenticatoio fin quando nel 1959 Douglas Sirk ne ripropose il remake modificando la trama e i risvolti e adombrando anche l’originale.

Sullo sfondo dell’America razzista degli anni ’30 si muove il personaggio di Lora, una aspirante attrice rimasta vedova e con figlia a carico e di una donna di colore, Annie, anche lei sola con una figlia dalla pelle bianca. Le vite delle quattro donne si intrecciano casualmente e Annie finisce con il divenire la domestica e migliore amica di Lora accompagnandola lungo la strada verso il successo.

Raggiunta la fama, Lora dimentica l’importanza degli affetti familiari e trascura la figlia Susan e l’uomo che vorrebbe sposarla, Steve. Frattanto Sarah, figlia di Annie, è decisa a negare di avere una madre di colore sulla convinzione che questo possa bastarle per avere una vita sociale facile mentre Susan, durante l’ennesima
assenza della madre per un viaggio di lavoro si innamora di Steve. La fuga di Sarah e la scoperta del suo impiego da promiscua ballerina di nightclub porteranno Annie al crepacuore. La sua morte spegnerà tutte le liti e i conflitti.

L’elemento di maggiore interesse: il peso dell’epoca storica che grava sui singoli personaggi e condiziona il loro agire. Anche i personaggi sono interpretati alla perfezione nelle rispettive smanie di realizzazione personale. L’aspirazione al successo, a compiacere il prossimo, ad essere considerati indipendentemente dalle
proprie origini, la volontà di superare l’esempio materno. In un modo o nell’altro tutti i personaggi raggiungono l’obiettivo ma a caro prezzo e solo la scomparsa di un caro riesce a far riflettere e a
ristabilire i giusti equilibri, fenomeno alquanto mero ma umano, dopotutto.

Questo film è una delle migliori risposte alla smania di protagonismo tutt’oggi latente.

E’ riuscito a sottolineare, con grande maestria, l’inasprimento del malessere quotidiano con una serie di forti reminescenze psicologiche, di tensioni sempre aperte e improvvise, di atti impulsivi e di verità mai celate a lungo. Il forte spirito remissivo e dolente di Annie nei confronti della figlia e della sua stessa vita stride in apparenza con la determinazione cinica di Lola, ma quando quest’ultima coglie la sua inadeguatezza materna si ritrova a confrontarsi con la donna, quasi confusa davanti all’affetto morboso e invero altrettanto recidivo) di una madre "completa".

Forse non tutti riescono a cogliere, nell’epilogo finale, il grande orgoglio di appartenenza razziale di Annie, la cui unica ambizione è di essere celebrata nella morte, come un’icona sfuggente nel grande
repertorio dell’anonimato sociale. Nel funerale dell’epilogo, va in scena un climax quasi baroccheggiante, strumento per esprimere qualcosa di intimo, profondo, viscerale, dell’anima. Da questa zona scoperchiata si evince il meccanismo della regolamentazione sociale.

Così come Lora Meredith fa parte della mediocrità della piccola borghesia arrivista e della ipocrisia dei tipici peasetti di provincia, così Annie è la madre gentile e pure soffocante che vuole inibire ogni forma di ribellione della figlia Sarah contro l’oppressione razzista.

Qui viene rappresenta l’orrore insopportabile del classismo e della umiliazione dei neri sia con la scena esplicita in cui Sarah è picchiata dal fidanzato bianco, sia, più sottilmente, nella relazione di servitù
che si stabilisce tra Lora ed Annie, ancorché sia più volte affermato dalla stessa Lora il suo totale antirazzismo. Ciononostante i rapporti fra le due donne evidenziano una sostanziale differenza tra le
opportunità e i ruoli di una donna bianca e quelli di una nera.

Due punti fondamentali mi hanno dato un vero senso di malessere. Le madri del film sono dimensioni diverse di uno stesso microcosmo, e non perchè danno troppo amore o credono, come nel caso di Lola, di poterlo dare.

Semplicemente confermano come, a volte, il troppo amore sia uno strumento inevitabile di repressione dei rapporti in generis. Infine il tentativo di riscatto di Jane, che volendo cancellare a tutti i costi le proprie origini, tenta di riappropriarsi di una falsa vita, affrontando la madre in una scena a dir poco straziante:

la madre, sapendo di stare molto male, desidera stringere sua figlia un’ultima volta fra le braccia, ma si scontra ancora una volta con la sua rabbia, e per non rovinarla va via dicendo agli altri di essere la
governante.

Una trama che deve correre lentamente, per far crescere i rancori, gli amori mai dichiarati, le parole non dette, dare modo alle piccole ferite della vita di diventare profonde e fare male . È come se si dovessero
piantare degli alberi per vederli crescere, diventare bellissimi, e cadere fragorosamente, in fiamme, colpiti da un fulmine. Nello Specchio della vita succede esattamente questo, e succede come si deve.

Una grandissima Mahalia Jackson che impersona se stessa cantando "Troubles of the World" al grandissimo funerale
con carri e cavalli e coro gospel. Ineccepibile.

Archivio